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La “Giovine Italia” di di Giuseppe Mazzini, in una lettera

Nell’anniversario della scomparsa di Giuseppe Mazzini (Pisa, 10 marzo 1872), è stata presentata a Roma la lettera con cui Mazzini inviava a Giuseppe Giglioli il 21 luglio 1831 il testo del giuramento degli affratellati alla “Giovine Italia”


Il 10 marzo del 1872 moriva a Pisa Giuseppe Mazzini. Nell’anniversario della scomparsa i Musei Capitolini ospitano, in Sala Carlo d’Angiò, il testo autografo di Mazzini del Giuramento degli affrattellati alla Giovine Italia. E’ la prima volta che lo storico documento, autentico atto di nascita dell’Italia Risorgimentale democratica, conservato presso la Domus Mazziniana di Pisa, viene presentato in pubblico, in occasione delle celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia.
La mostra di cui la lettera autografa è il vero “tesoro” è stata inaugurata, appunto, il 10 marzo, nel corso di una cerimonia che si è tenuta, presente il Sindaco Gianni Alemanno, nella Sala Grande del Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini.
La signora Norah Mayper ha consegnato, infatti, nelle mani del Sottosegretario Gianni Letta, una raccolta di circa 600 documenti risorgimentali inediti, appartenuti ad una sua antenata, Katherine Hill, fervente mazziniana e sostenitrice della causa italiana.
I documenti della Collezione Mayper, tra cui circa 400 lettere di pugno di Mazzini, costituiscono la più importante acquisizione di documenti inerenti il mazzinianesimo degli ultimi cinquant'anni. Le lettere troveranno casa alla Domus Mazziniana di Pisa.
Alla cerimonia di consegna dell’importante donazione ha fatto seguito la Lectio Magistralis di Roland Sarti, storico dell’Università del Massachussets e autore di fondamentali studi su Giuseppe Mazzini.
Nel pomeriggio le Celebrazioni Mazziniane si sono spostate alla Biblioteca di Storia moderna e contemporanea di Palazzo Mattei di Giove per un incontro su “Nascita di una nazione: l’Italia del Risorgimento” (sono intervenuti Sandro Bulgarelli, Zeffiro Ciufoletti, Paola Gioia, Paolo Peluffo, Roland Sarti, coordinati da Lauro Rossi). Nell’occasione sono stati presentati i volumi “Un laboratorio politico per l’Italia. La Repubblica Romana del 1849” a cura di Lauro Rossi (Biblink editori), “Dear Kate. Lettere di Giuseppe Mazzini a Katherine Hill, Angelo Bezzi e altri italiani a Londra (1841 – 1871)" a cura di Roland Sarti e Norah Mayper (Rubbettino) e la banca dati “La Repubblica Romana del 1849 www.repubblicaromana-1849.it a cura della Biblioteca di storia moderna e contemporanea.

A proposito della lettera esposta sino al 28 marzo ai Capitolini, va detto che si tratta di quella che Giuseppe Mazzini scrisse a Giuseppe Giglioli il 21 luglio 1831, riportando il testo del giuramento degli affratellati alla “Giovine Italia”. Lo storico Giuseppe Monsagrati, a proposito di questo importante documento, annota come “del giuramento degli iscritti alla Giovine Italia Mazzini diede a breve distanza di tempo due versioni, simili ma non identiche. La prima, ripresa quasi integralmente nella lettera a Giuseppe Giglioli che qui si espone, fu redatta nel luglio del 1831, a Marsiglia, all’atto – dirà molti anni dopo – di riprendere “l’antico disegno della Giovine Italia”. In realtà, quella in cui si trovava allora il giovane ligure era una fase di transizione, il momento tutt’altro che rapido del passaggio dalla carboneria a una impostazione diversa e per molti versi antitetica del problema dell’Italia. I primi contatti da lui allacciati in Francia, a Lione prima ancora che a Marsiglia, erano stati con esponenti della carboneria: Carlo Bianco di St. Jorioz, Borso de’ Carminati, G.P. Voarino; e quando tali contatti avevano avuto luogo, Mazzini non aveva ancora superato il periodo della militanza carbonica né aveva rimosse le tracce che quella particolare cultura cospirativa aveva lasciato in lui. Oltre tutto, proprio il progetto di lanciare una organizzazione capace di percorrere una strada diversa da quella battuta sino allora dalle società segrete costringeva Mazzini a tentare una mediazione, o quanto meno a cercare di far proseliti conservando qualcosa della precedente simbologia. Quando dunque stese la prima Istruzione generale della Giovine Italia utilizzò espressioni, figure retoriche, formule, riferimenti ideologici che risentivano molto della precedente militanza e di qualche richiamo al giacobinismo; e nel Giuramento degli affiliati inserì elementi lessicali tipici del linguaggio carbonaro, quali l’impegno a “spegnere” i tiranni e a “distruggere” i traditori o il richiamo ai tanti giovani “spenti, o cattivi” (uccisi o incarcerati)”.
Nella seconda Istruzione, di pochi mesi successiva, restava l’impianto generale del giuramento ma cambiavano i toni: compariva il termine missione, si auspicava che l’Italia, oltre che una, indipendente e libera, fosse anche repubblicana, si chiamava in causa il popolo e spariva ogni intimazione minacciosa verso gli eventuali traditori. Inoltre, a differenza che nella prima Istruzione, dove era additato agli affiliati il dovere di appartenere ad altre società segrete, si prescriveva, nel giuramento stesso, “di non appartenere, da questo giorno in poi, ad altre associazioni”.
Come mai questo ribaltamento? Certo, quello della seconda Istruzione era un Mazzini più autentico, ma soprattutto era un Mazzini meno disposto a compromessi con la Carboneria soprattutto dopo che nell’estate, tra la prima e la seconda Istruzione, durante una rissa con alcuni francesi un esule italiano a Mâcon aveva accoltellato a morte un francese: fu probabilmente questo episodio che indusse Mazzini a caratterizzare meglio la Giovine Italia selezionandone i futuri adepti non più sulla base di generici riferimenti di stampo neo-giacobino ma mediante l’adozione di un codice morale che accogliesse i principi etico-religiosi frutto della sua evoluzione interiore.
Il testo del secondo giuramento restò a lungo nella memoria dei patrioti italiani, di quelli che rimasero per tutta la vita mazziniani ma anche di coloro che – dirà poi un Mazzini sdegnato – “sono oggi cortigiani, faccendieri di consorterie moderate, servi tremanti della politica di Bonaparte e calunniatori e persecutori dei loro antichi fratelli”. La verità è che non si poteva concepire un manifesto migliore dell’italianità e dei valori su cui essa si sarebbe dovuta fondare: che erano, sì, i valori di un repubblicano ma col loro contenuto educativo sarebbero serviti anche a formare il carattere di chi repubblicano non era o non era più.

(24-03-2011)




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Pubblicato in S.Mariano - Perugia - Italia - Ultimo aggiornamento: 24-03-2011 alle :