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Come vivere in una bolla di sapone

È un particolare effetto prodotto da un polimero termoplastico permeabile alla luce e ai raggi UV e molto leggero. ETFE, conosciuto dagli anni ‘40, comincia ad essere utilizzato nella progettazione in sostituzione di vetro e altri materiali edili


L’ETFE, acronimo di Etilene Tetrafluoro Etilene, si sta facendo strada tra i materiali da costruzione e desta molto interesse nel campo dell’architettura moderna, grazie alla possibilità che dà ai progettisti di ripensare all’involucro esterno degli edifici come una pelle leggera e dall’apparenza soffice come bolle di sapone.
Dopo una lunga storia travagliata, brevettato negli anni ’40 e immesso nella produzione intorno agli anni ’70, questo materiale plastico trasparente negli ultimi due decenni ha finalmente acquisito la dignità di materiale hi tech per le costruzioni e gli spettacolari Watercube e Bird’s Nest di Pechino sono solo due dei più recenti e famosi esempi di utilizzo.
Le due realizzazioni, veri e propri gioielli tecnologici, realizzati in occasione delle passate Olimpiadi cinesi 2008, partono entrambi dalla sperimentazione dell’ETFE, seppure con modalità e risultati differenti. In Watercube il materiale è servito sia esteticamente, a fornire quell’aspetto di bolle di sapone irregolari a copertura della megapiscina, che, in termini energetici, a far aderire la struttura ai canoni dell’ecosostenibilità ricercati dagli organizzatori dei Giochi, permettendo di favorire la luce naturale, catturano il 20% dell’energia solare incidente sull’edifico e ri-destinandola al riscaldamento delle vasche e riducendo pertanto i consumi elettrici. Storia differente per lo Stadio Nazionale, dove il polimero termoplastico è stato funzionale al rivestimento della la griglia esterna di elementi in acciaio intrecciati a cui deve, appunto, il soprannome di “nido d’uccello”.

A rendere allettante dal punto di vista progettuale questo materiale è innanzitutto la leggerezza: solo un centesimo del peso posseduto dal vetro a fronte di capacità di trasmettere la luce visibile del 94–97% per un irraggiamento dai 400 ai 600 Nm ed una perfetta permeabilità ai raggi ultravioletti. Tra i pro vantati da questo materiale una temperatura di fusione molto elevata, eccellenti proprietà di resistenza chimica, elettrica e alle radiazioni ad alta energia, costi di trasporto ed istallazione notevolmente contenuti proprio per via del suo peso estremamente basso (350g/mq). Si è fatto, inoltre, notare per tre qualità non da poco: è in grado di sopportare 400 volte il proprio peso, è autopulente grazie alla propria superficie antiaderente e completamente riciclabile. La pellicola ETFE ha, inoltre, una forza di trazione di circa 42 N/mm² (6100 psi), con un intervallo di temperatura di funzionamento tra i -185 °C e i 150 °C.

Nuova tecnologia per un vecchio prodotto
La resina può essere filata in una sottile pellicola resistente che i produttori confezionano in rotoli. L’utilizzo tipico prevede che due o tre strati vengano saldati insieme in pannelli o gonfiati in “cuscini” direttamente nel cantiere per realizzare, grazie a telai in alluminio, tensostrutture ed elementi di copertura nei tetti. Altro esempio di utilizzo, che sfrutta la sua capacità di aumentare fino a tre volte la sua lunghezza senza perdere la sua elasticità, è come componente delle pareti verticali esterne, avvolgendo l’edificio come una seconda pelle trasparente.
Il sistema necessita di una pressurizzazione semi-continua per tenere stabili queste camere ed assicurare loro le proprietà termiche, ma attraverso il controllo dell’aria incamerata, aumentandola o diminuendola, si ha la capacità di modulare la luce in entrata. In alcune installazioni, ciò è controllato automaticamente tramite l’uso di fotosensori mentre, al tempo stesso, il polimero garantisce un certo livello d’isolamento termico (un cuscino a 4 fogli garantisce una trasmittanza termica minore di 1,5 W/m2K), a sua volta incrementabile tramite l’aggiunta d’altri strati di materiale o con appropriate stampe sulla superficie esterna della membrana. Alla fine della sua vita utile, stimata fin sopra i 40 anni, può essere semplicemente fuso e riutilizzato.
Il polimero si presta anche ad integrazioni interessanti come nel caso della futura ambasciata americana a Londra.
Tra i punti contro: a livello acustico, se impiegato come copertura superiore il sistema a cuscini in caso di pioggia può provocare un ‘effetto tamburo’ facendo da amplificatore del suono della pioggia. Proprio per questo i produttori hanno sviluppato diverse tecniche per il controllo del rumore, tra cui la stratificazione all’interno di lastre in policarbonato che, però, possono ridurre la trasparenza dell’involucro. Altro neo è la sua limitata resistenza ai carichi rispetto ad altri materiali e il fatto che la tecnologia produttiva per le sue caratteristiche avanzate rimane ancora oggi in mano a poche aziende di settore.
(fonte: rinnovabili.it)

Cristina Moretti

(31-05-2010)




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Pubblicato in S.Mariano - Perugia - Italia - Ultimo aggiornamento: 31-05-2010 alle :