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A Souhayr Belhassen il Premio Internazionale per i Diritti Umani “Città di Orvieto” 2008

È tunisina ed è la prima presidente donna della Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo. Ha ricevuto il premio dedicato a “Il Dramma Africano, i diritti calpestati delle donne e dei bambini”


A 60 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, si è svolta, presso la Sala dei Quattrocento del Palazzo del Popolo di Orvieto, la cerimonia di consegna del Premio Internazionale per i Diritti Umani “Città di Orvieto” VIII^ edizione 2008, dedicato al “Il Dramma Africano, i diritti calpestati delle donne e dei bambini”. che è stato conferito a Souhayr Belhassen, tunisina, prima presidente donna della Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo.
Il Premio, che consiste nella somma di 10.000 Euro, verrà destinato per sostenere l’attività della di FIDH (Fédération Internationale des Droits de l’Homme).
La motivazione del premio: “per il rispetto dei valori fondamentali dei diritti umani e soprattutto per la tolleranza di cui Souhayr Belhassen per esser qui, per aver fatto della sua vita la testimonianza più vera di quello che si esprime nel valore dei diritti umani”.

La Giuria del Premio per i Diritti Umani “Città di Orvieto”, Presieduta dal Prof. Giovanni Conso, Presidente Emerito della Corte Costituzionale ha così motivato la decisione di assegnare il Premio 2008 a Souhayr Belhassen:
“Le donne sono il cambiamento di questo secolo
Nel corso degli anni che verranno, noi possiamo e dobbiamo credere nel cambiamento. Non abbiamo più bisogno di qualcuno che ci conferisca attestati di alcun tipo, che decreti se siamo emancipate o no, se vogliamo o no essere in carriera.
La forza delle donne, non sono le prerogative che ne fanno stereotipi fissati sulla pagina, alle donne va conferito più potere, si dice, perché sono istintivamente più pragmatiche; già questo ne limita i percorsi e la capacità di elaborazione. Non vogliamo fotografie di alcun tipo che ci fissino in un istante, che è già storia nel momento in cui noi lo vediamo. Siamo le donne che hanno visto i due conflitti mondiali, lo scempio dell’olocausto,la barbarie stalinista, la fame dei nostri figli, la tortura della nostre carni, la mondializzazione trasformarsi in un alibi per l’abbattimento dei diritti fondamentali.
Sappiamo che non esiste la verità, ma la lealtà, che unisce uomini e donne, il legame profondo che ci ha unito nelle battaglie che abbiamo condotto nella società civile, nelle istituzioni, ognuno a suo modo, con i suoi successi o insuccessi.
Siamo qui oggi, a premiare una donna che ha avuto il coraggio di lottare dimostrando che il tetto di cristallo si può sfondare, con la propria integrità e il proprio rigore morale.
La Storia è il nostro patrimonio
La storia che non abbiamo mai avuto paura di vivere, di attraversare e di ricordare.
Non abbiamo confini, se non quelli dettati dal rispetto della legalità.
Souhayr Belhassen è una di quelle donne che ha lavorato con tutti coloro che credono che il momento del cambiamento è ora, che non aspettano lo start della pistola, che sanno che il cambiamento è in mano alle donne, perché i maschi e le femmine di questa società sono sempre figli di donne , che educano, nutrono, trasmettono valori.
Noi chiediamo con questo premio a Souhayr Belhassen, agli uomini e alle donne che credono in una dinamica non sessista delle dinamiche mondaili, di aiutarci a creare una nuova rete di uomini e donne che sappia essere servizio e di servizio di cui elaboreremo i contenuti insieme.
Partiamo e nutriamo di noi stessi il cambiamento che vogliamo, costruiremo il brillante più sfaccettato che sia mai esistito, il nuovo seme che darà frutti forse ancora sconosciuti e non catalogati.
Qualcuno potrebbe dire che siamo velleitari: ha solo paura. Noi no!
Abbiamo provato a cambiare le cose intorno, qualcuna è riuscita meglio, altre meno.
Vogliamo trasmettere la nostra esperienza, fonderla con altre in un frutto unico.
Per il rispetto dei valori fondamentali dei diritti umani e soprattutto per la tolleranza di cui Souhayr Belhassen per esser qui, per aver fatto della sua vita la testimonianza più vera di quello che si esprime nel valore dei diritti umani”
.

All’atto della premiazione, Souhayr Belhassen ha ringraziato Orvieto per il riconoscimento ed ha svolto la sua “lectio magistralis”, un lucido e intenso discorso sull’attualità nel mondo della questione del riconoscimento dei diritti umani, dell’impegno delle organizzazioni, delle mobilitazioni e dei successi ma anche delle crescenti preoccupazioni per il verificarsi di nuovi segnali ed episodi nel mondo, in Europa, nei singoli Paesi. Un discorso che è anche un monito ai governi, compreso il Governo Italiano.
Sono stati infine gli studenti del Liceo Scientifico Majorana, del Liceo Classico, dell’Istituto Commerciale e per Geometri e dell’Istituto d’Arte di Orvieto a presentare gli approfondimenti da loro prodotti rispetto al tema dei diritti calpestati delle donne e dei bambini in Africa.

Il discorso di Souhayr Belhassen
“Sono emozionata e fiera, e perché non dirlo, felice del riconoscimento che mi è concesso. Questo onore lo ricevo con l'umiltà che viene dalla consapevolezza che attraverso me viene reso omaggio e onore ai difensori dei diritti dell'Uomo che si battono contro la repressione, la tortura, la miseria e l'esclusione.
In sostanza, mi sembra che questo riconoscimento sia destinato all'organismo che ho l'onore di presiedere. La Federazione internazionale delle organizzazioni dei diritti dell'Uomo, un organismo a difesa dei diritti umani costituito nel 1922 che rappresenta oggi 155 organizzazioni di difesa dei diritti dell'Uomo di circa 100 Paesi.
Io stessa vengo da una delle organizzazioni appartenenti alla FIDH, la Lega tunisina dei diritti dell'Uomo, in un paese che non è certo contraddistinto da buoni risultati in materia di diritti umani, in cui coloro che li difendono sono tormentati, spiati e perseguitati dalla giustizia per il fatto di rivendicare i diritti dell'Uomo.
Donna del mondo arabo-musulmano, in cui la cultura e le tradizioni imbavagliano le donne e frenano la loro emancipazione, mi mobilito, attraverso la mia organizzazione, per rivendicare l'universalità dei diritti umani a 60 anni dall'adozione della dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, e per far vivere ed esistere questi diritti in ogni parte del mondo.
E' a mio avviso altamente simbolico che la città di Orvieto consegni questo premio al ricorrere di questo anniversario. A vostro modo, celebrate e manifestate l'universalità di questa dichiarazione. Questo anniversario ci offre l'occasione di riflettere sul significato di quel testo, e sul senso attuale della sua universalità.
Innanzi tutto, il mio pensiero va a quelle e quelli che lavorano all'universalità dei diritti dell'Uomo in ogni luogo del mondo, a quelle donne e quegli uomini che costituiscono le organizzazioni che fanno parte della FIDH o che la sostengono.
Penso, oggi, alla mia amica Julienne Lusenge, coordinatrice dell'associazione di Solidarietà femminile per la pace e lo sviluppo nella Repubblica democratica del Congo, che si batte per la condanna come crimine di guerra dell'utilizzazione massiccia della violenza contro le donne, i bambini e gli anziani, e per porre fine alle pratiche barbare attualmente adottate nelle province del Kivu. Per essere venuta, la scorsa primavera, a denunciare questi sistemi in Europa, Julienne si trova oggi minacciata di morte dalle milizie criminali nella RDC.
Penso anche alle decine di militanti iraniane mobilitate con una petizione per il riconoscimento dei diritti delle donne, che si sono fatte pestare e arrestare ben sapendo che sarebbero state condannate alla fustigazione.
Penso infine a Hu Jia, recentemente condannata in Cina a tre anni e mezzo di prigione per la sua azione di difesa delle persone affette da AIDS, per aver pubblicato un articolo sui diritti umani in Cina che chiedeva riforme alle autorità cinesi prima dei giochi olimpici di Beijng.

Donne e uomini militanti della pace e dei diritti umani sono stati condannati o si trovano minacciati.
Alcuni riescono, con le loro lotte, ad ottenere dei risultati. Tutti questi militanti portano un solo e unico messaggio attraverso il mondo, la rivendicazione universale dei diritti dell'Uomo. Sono loro che difendiamo rivendicando ogni giorno i diritti umani.
L'anniversario della Dichiarazione costituisce anche un'opportunità per porre l'accento sul fatto che, grazie alla loro lotta, guadagniamo ogni giorno terreno. Quando dico noi, non intendo dire semplicemente la FIDH, ma tutte le donne e gli uomini che difendono ogni giorno l'universalità della dichiarazione.
Nel novero di quello che avanza, desidero sottolineare due avvenimenti che stanno particolarmente a cuore alla FIDH, perché sono frutto di una grande mobilitazione da parte delle nostre organizzazioni territoriali.
 Il primo è l'arresto di Jean-Pierre Bemba Gombo a Bruxelles, una settimana fa, in seguito al mandato di arresto della Corte penale internazionale. Ex Vice presidente della Repubblica democratica del Congo, presidente e comandante capo del Movimento di Liberazione del Congo (MLC), Jean-Pierre Bemba sarebbe responsabile di crimini contro l'umanità commessi sul territorio della Repubblica centroafricana. Sotto la sua direzione, le truppe dell'MLC avrebbero effettivamente attaccato in modo sistematico e generalizzato la popolazione civile e commesso stupri e atti di tortura.
La FIDH e le sue organizzazioni sono state le prime a condurre un'inchiesta su questi avvenimenti tragici e a denunciare, sulla base delle testimonianze delle vittime, gravi crimini internazionali. L'arresto di Jean-Pierre Bemba è una grande vittoria per le vittime centroafricane, di cui onoriamo oggi il coraggio e l'abnegazione. Si tratta di un risultato formidabile per la lotta contro l'impunità in Africa e nel mondo, più precisamente per la lotta contro le violenze perpetrate sulle donne in tempo di guerra.
 Questo arresto è stato possibile grazie all'apertura, lo scorso dicembre, del processo a un altro grande criminale, il vecchio dittatore peruviano Alberto Fujimori, perseguito per omicidi plurimi, attentati all'integrità fisica e sequestro aggravato.
Fujimori aveva tentato per quasi sette anni di sfuggire alla giustizia rifugiandosi prima in Giappone e poi in Cile, da dove è stato estradato. Il 12 dicembre è stato condannato a sei anni di prigione per aver inviato uno dei suoi collaboratori a trafugare documenti presso il capo dei servizi segreti. Attualmente risponde dei massacri di 25 persone a Barrios Altos e all’Università della Cantuta nel 1991 et nel 1992, compiuti da uno squadrone della morte, il gruppo Colina, di cui sarebbe l'ispiratore. E' inoltre accusato del sequestro di un imprenditore e di un giornalista contrari al regime, tenuti prigionieri nei sotterranei dei servizi segreti nel 1992. Il procuratore ha chiesto per lui 30 anni di prigione. Una buona notizia, perchè si tratta del primo presidente giudicato nel suo paese dopo aver avuto l'estradizione da un paese terzo. Un'eccellente notizia, perché questo processo mette fine a più di 15 anni d'attesa per le vittime, sostenute per tutto questo tempo dalla FIDH et dalla sua organizzazione membro in Perù, l'APRODEH.

Se sottolineo questi risultati, è perché sono necessari per permetterci di continuare, di affrontare le violazioni in tutto il mondo, di dare speranza alle vittime, di continuare a credere, a dispetto dell'attualità troppo spesso moribonda, che l'Universalità dei diritti dell'Uomo può essere realizzata.
Tuttavia questa lotta è ancora lunga, e noi dobbiamo mobilitarci e, soprattutto, restare vigili. Vigilare perché non ci siano regressioni. Lo dico oggi, e qui, in Italia, un paese dove la lotta per i diritti dell'Uomo ha una lunga e antica tradizione.
E' l'Italia, infatti, che ha dato alla luce San Tommaso d'Aquino, teologo e filosofo, uno dei primi a sostenere che esistono diritti inalienabili e sovrani della persona. Ancora fortemente impregnati di diritto divino, questi scritti erano tra i primi a riconoscere l'esistenza dei diritti dell'Uomo, di tutti gli uomini.
Nel 18° secolo Cesare Beccaria insistette perché si accantonasse la tesi di considerare il criminale come un individuo da escludere dalla società. Mostrò che la pena di morte non ha nessun valore legittimo, perché è impossibile che un individuo decida naturalmente di delegare allo Stato il suo diritto alla vita. Una lotta, la sua, che noi continuiamo oggi a portare ovunque nel mondo, e di cui l'Italia è uno dei grandi difensori all'Assemblea delle Nazioni Unite.
Ma l'impegno per il riconoscimento di questi diritti richiede la nostra vigilanza e deve rispondere a nuove sfide:
• le sfide, qui, sono quelle poste dal Vaticano, che un anno fa, dopo la mobilitazione di Amnesty International sui diritti legati alla riproduzione, ha chiamato le persone di confessione cattolica, con il monito del Cardinale Renato Martino, a sospendere il sostegno all'organizzazione di difesa dei diritti umani, accusandola di aver « tradito la sua missione ».
 In Italia, lo Stato ostacola la sfida della non-discriminazione, e la viola, rimandando in massa gli emigrati rumeni nel loro paese d'origine e facendo subire all'intera comunità le conseguenze delle azioni di pochi di loro. C'è una frontiera tra la responsabilità individuale e l'accusa collettiva, passare dall'una all'altra, come ha fatto il Consiglio Italiano lo scorso Ottobre, è dare prova di razzismo.
 Le sfide sono anche quelle poste dal Tribunale di Bologna e dalla Corte di Cassazione italiana, che hanno riconosciuto il diritto alla Charia e, in nome della tradizione e della religione, hanno rifiutato di condannare i comportamenti violenti inflitti dai membri della sua famiglia a Fatima, una giovane donna di origine musulmana. Fatima era stata sequestrata e attaccata a una sedia, poi brutalmente percossa, per punirla delle sue frequentazioni e del suo stile di vita. La Corte di Cassazione ha assolto la famiglia, considerando che la ragazza era stata percossa « non per motivi vessatori o per disprezzo », ma – e con ciò riconosce la motivazione di questi atti – per comportamenti « giudicati scorretti ». I diritti dell'Uomo, qui il diritto di non essere picchiati, devono essere gli stessi per tutti, senza distinzione di religione.

Infine le sfide sono quelle poste dal Governo italiano, quando, in queste ultime settimane, in un pacchetto di riforme sulla Sicurezza, fa un deplorevole amalgama tra immigrazione e criminalità. La FIDH è particolarmente preoccupata di queste nuove disposizioni, che vanno ancora una volta nel senso della stigmazizzazione degli stranieri, della restrizione dell'accesso alle procedure di asilo e verso una gestione puramente repressiva del fenomeno migratorio.
 Dalla mia elezione a capo della FIDH, ho potuto visitare in Europa centri di detenzione di immigrati e di richiedenti asilo politico in Polonia e in Belgio, e constatare ogni volta la miseria umana di intere famiglie, di bambini privati della libertà. Poco tempo fa, abbiamo aperto un'inchiesta in Italia, e sporto denuncia all'Unione per la Tutela dei diritti dell'Uomo, l'UFTDU, la nostra organizzazione partner in Italia, sulla realizzazione del diritto d'asilo, a forza di constatare che i responsabili italiani stentano ad uscire da questo circolo infernale. E' tempo che gli Stati europei, l'Italia in particolare, adottino delle politiche ambiziose che prendano in considerazione i diritti inalienabili dei migranti.
Per i 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, facciamo l'augurio della riaffermazione della sua universalità, non solo per le popolazioni più lontane dall'Europa, ma anche nelle nostre città e contrade, per i nostri vicini, tutti i nostri vicini, per le donne e gli uomini che vivono accanto a noi. E' dalla nostra capacità a riconoscere i loro diritti che riusciremo a trarre la nostra legittimità a rivendicarli per tutti e dappertutto”
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Il Premio Internazionale per i Diritti Umani “Città di Orvieto” è istituito ed organizzato dal Comune sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano con il patrocinio della Regione dell’Umbria, di FIDH (Fédération Internationale des Droits de l’Homme) e Unione Forense per la tutela dei Diritti Umani. Viene attributo, ogni anno, a soggetti ed organizzazioni che si sono distinti nella difesa dei diritti umani, per i quali il Premio è elemento di sostegno alla prosecuzione dell’opera.
La finalità del Premio è quella di intensificare l’impegno volto a salvaguardare i diritti umani, nell’ambito del quale un ruolo indispensabile deve essere svolto anche dalle comunità locali, non solo dalle autorità politiche nazionali ed internazionali.

Le precedenti edizioni del Premio Internazionale Diritti Umani“Città di Orvieto”
2007: Umberto Eco. “La coscienza della Conoscenza - Il Diritto Universale all’Istruzione”.
2006: Madri argentine di Plaza de Mayo. “La verità delle Madri, da Maria alle Madri Coraggio, in nome della verità”.
2005: Vescovo di Terni, Mons. Vincenzo Paglia, prof. Elio Toaff, Rabbino capo emerito, lo scrittore Tahar Ben Jelloun “Per la ricerca del dialogo tra le religioni monoteiste”.
2004: Mohammad Yunus, ideatore del “microcredito” a sostegno dello sviluppo delle attività imprenditoriali nei paesi poveri, docente negli USA e Direttore Generale della Grameen Bank in Bangladesh.
2003: Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, per il suo impegno nel riconoscimento dei diritti degli extracomunitari.
2002: Alberto Cairo, Responsabile Centri ortopedici del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Afghanistan.
2001: Marie Thérèse Keita Bocum, docente di Storia Contemporanea all’Università di Abidjan in Costa d’Avorio, per attività svolta come rappresentante dell’ONU in Burundi.




(05-06-2008)




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Pubblicato in S.Mariano - Perugia - Italia - Ultimo aggiornamento: 05-06-2008 alle :