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Università italiane, un sistema in crisi

20 dei 77 atenei della nazionale rischiano il “dissesto finanziario”: spendono le loro risorse per gli stipendi del personale e non possono quindi investire nella ricerca né rinnovare un corpo docenti ormai drammaticamente invecchiato


Il sistema universitario italiano è in crisi: quasi un ateneo su tre rischia “sanzioni” e perfino il “commissariamento” se non riuscirà a riportare i propri conti in equilibrio.
A determinare in gran parte il rosso dei bilanci hanno contribuito i numerosi tagli e blocchi di spesa nel settore dell’istruzione adottati negli ultimi anni dai diversi governi per fronteggiare la difficile situazione della finanza pubblica.
Sebbene puntualmente, ad ogni scadenza elettorale, ogni programma di governo o dichiarazione d’intenti dei politici di ogni schieramento parli di priorità della ricerca e celebri l’importanza dell’istruzione come strumento di promozione dei giovani e d’investimento sul futuro del Paese, la realtà dei fatti è ben diversa.

E così i rettori universitari, alle prese con bilanci insostenibili, lanciano l’allarme.
Già costretti praticamente ad azzerare i budget destinati alla ricerca poiché le altre spese, tra stipendi e costi di funzionamento, sono incomprimibili, si trovano ora nell’imbarazzante situazione di non riuscire più a far fronte nemmeno ai cosiddetti costi fissi.
A spiegarlo è Alessandro Finazzi Agrò, rettore dell’Università Tor Vergata di Roma, che denuncia: “La follia è che il 90% dei finanziamenti ordinari serve a coprire gli stipendi; con il 10% che resta dovremmo fare tutto, dagli appalti per le pulizie al riscaldamento, alle manutenzioni degli edifici, alla ricerca”.
Il rettore fa riferimento al denaro erogato annualmente dal governo attraverso il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) che costituisce l’unico finanziamento pubblico delle università.

Gli atenei hanno pertanto un tetto massimo di spesa per il personale al quale dovrebbero attenersi, ma una recente analisi ha reso noti dati allarmanti: l’Università di Siena avrebbe speso lo scorso anno il 101,1% del finanziamento, il che equivale a dire che con i soldi pubblici ricevuti non è stata nemmeno in grado di coprire le spese per il personale.
A seguire in questa classifica dei “cattivi gestori” sono le università di Firenze col 99,4%, la “2^” di Napoli col 98,9%, Pisa col 96,9%, La “Orientale” e la “Federico II” sempre di Napoli, rispettivamente col 96,7% e 96%, Bari col 95,8%, Trieste col 95,7% e poi “La Sapienza” di Roma col 94,8% e a seguire gli atenei di Pavia, L’Aquila, Cagliari, Genova, Palermo, Messina, Udine e Venezia, tutti con spese per il personale superiori al 90% del Fondo di Finanziamento Ordinario.

Consci della gravità della situazione, per migliorare l’efficienza e la qualità del sistema universitario, nell’agosto scorso il governo e i vertici accademici avevano siglato un “Patto per l’Università” che prevedeva l’assegnazione di incentivi economici alle università legati al raggiungimento di diversi obiettivi e parametri, tra i quali il contenimento delle varie voci di spesa entro certi limiti.
E di atenei “virtuosi”, che avrebbero meritato gli incentivi promessi, ce ne sono una ventina.
Occorre però l‘uso del condizionale perché le risorse sono state annullate e il patto tradito, in quanto quei fondi sono stati usati per tamponare la vertenza dei trasportatori, che aveva paralizzato l’Italia lo scorso dicembre.

Tra i “creditori”, che fanno parte di una lista pubblicata dal Ministero dell’Economia ma non sanno se e quando vedranno i sospirati stanziamenti aggiuntivi, figurano l’Università degli Studi di Torino, che dovrebbe incassare 39,88 milioni di euro, il Politecnico di Milano che vanta 36,55 milioni di euro di credito, l’Università di Tor Vergata con 32,76, e poi quelle di Padova, Bologna, Milano, Trento, Torino, Siena, Udine, della Calabria, l’Università “Bicocca” di Milano e quella di Perugia, con importi che vanno, a scalare secondo l’ordine precedente, dai 28,43 ai 12,42 milioni di euro.
Si tratta di università meritevoli sottofinanziate rispetto alle strutture e ai servizi che offrono.

Così i 77 atenei italiani, che risultano essere troppi in assoluto e a loro volta frammentati e sparsi a pioggia in ogni angolo del Paese per rispondere a spinte localistiche, sono, salvo poche e lodevoli eccezioni, fortemente indebitati e Guido Trombetti, presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) stima che occorra un miliardo di euro per sanare il buco.
Intanto sui “Consigli di amministrazione” degli atenei incombe la scadenza di marzo: dopo aver presentato i bilanci previsionali lo scorso dicembre, dovranno depositare a consuntivo i conti del 2007 e sarà il momento della verità.
La legge impone di raggiungere almeno il pareggio di bilancio, ma il disavanzo aumenta e per colmarlo non bastano più nemmeno gli artifizi economici relativi a vere o fittizie vendite immobiliari.

La qualità di un sistema universitario è da sempre considerata uno degli indici più significativi per misurare le potenzialità di crescita economica e civile di una nazione e investimenti nei settori dell’istruzione superiore e della ricerca sono una esigenza primaria di qualsiasi Paese voglia progredire o semplicemente mantenere la posizione acquisita nelle classifiche internazionali dello sviluppo.
È anche per questi motivi che l’Italia, che spende per l’università una percentuale del proprio PIL (Prodotto Interno Lordo) minima rispetto ai Paesi OCSE, (l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico di cui fa parte insieme ad altre 29 nazioni tra cui Stati Uniti, Giappone, Australia, Gran Bretagna, Svizzera, Francia e Germania) con un costo per studente di gran lunga inferiore, a parità di potere d’acquisto, sia rispetto alla media UE (Unione Europea) che OCSE, rischia di non avere un futuro degno del suo passato.



Victor Daiani

(06-03-2008)




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Pubblicato in S.Mariano - Perugia - Italia - Ultimo aggiornamento: 06-03-2008 alle :