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Cinquant'anni senza "Case Chiuse"

Il 20 febbraio 1958 il Parlamento italiano approvava a larga maggioranza la cosiddetta “Legge Merlin” che sanciva la chiusura delle case di tolleranza, fino ad allora legali e controllate dallo Stato. La riforma abolì qualcosa, ma non lo sostituì


Per tutti è la "Legge Merlin", dal nome della sua promotrice: la senatrice Angelina Merlin detta Lina, veneta e socialista; ma ufficialmente si tratta della legge n. 75/58 approvata dal Parlamento italiano il 20 febbraio 1958 e pubblicata in data 4 marzo sul numero 55 della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Stabiliva l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e, contestualmente, la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui e la soppressione delle case di tolleranza, fino ad allora legali e controllate dallo Stato.

In realtà la Merlin, che venne eletta all'Assemblea Costituente e fu la prima donna della storia italiana sui banchi del Senato, assumendo perciò un forte potere simbolico, fin da subito, nell’agosto 1948, aveva messo a punto il suo progetto di legge, che però si era arenato per l'opposizione dei partiti di destra e ampie resistenze trasversali nelle altre formazioni.
Per definire il testo della norma non fece altro che riprendere un provvedimento analogo, varato in Francia nel 1946 per iniziativa di due personaggi molto diversi: Marcel Roclore, un deputato repubblicano, e Marthe Richard, una donna controversa, ex-prostituta, ex-spia ed ex-pilota di aerei, che nel dopoguerra era stata eletta consigliere comunale a Parigi; la Richard aveva fatto da apripista con un decreto locale che Roclore aveva poi trasformato in legge nazionale.
L'idea-base della legge francese, tuttora in vigore e nota appunto come "Loi Richard" era la stessa adottata poi in Italia: chiudere i bordelli ufficiali e punire come reato lo sfruttamento della prostituzione, ma non dire nulla sulla prostituzione in sé, che finiva in una sorta di limbo, non più legalizzata ma neppure vietata.

Occorsero più di 9 anni perché la sua proposta di legge percorresse l'intero iter legislativo e probabilmente il successo finale fu determinato non tanto dall’atteggiamento dell’opinione pubblica, quanto dall'adesione dell'Italia all'ONU, avvenuta nel 1955.
In virtù di questo evento, il governo italiano dovette sottoscrivere diverse convenzioni internazionali tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 che, tra l'altro, faceva obbligo agli Stati firmatari di porre in atto "la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione".
Nel 1949 l'Onu aveva impegnato gli Stati membri a punire chi traeva guadagno dalla prostituzione altrui ed era lo stesso Stato italiano, con il suo ingresso nelle Nazioni Unite, a rischiare di finire sotto accusa per gli introiti che incamerava dalla tassazione delle case di tolleranza.
L'esigenza di evitare imbarazzanti problemi internazionali si sposò con spinte interne, che già da dieci anni puntavano ad abolire la prostituzione legalizzata, e così la votazione decisiva del 20 febbraio 1958 ebbe un risultato plebiscitario: 385 sì all'abolizione contro 115 no: ufficialmente si espressero per il no solo missini e monarchici.

Va anche precisato che già dal 1948, l’allora ministro degli Interni divenuto poi premier, il democristiano Mario Scelba, aveva smesso di concedere licenze per l'apertura di nuovi bordelli (fermandone il numero a poco più di 700 con circa 3000 donne registrate) e che la legge entrò in vigore solo sette mesi dopo la sua approvazione (i luoghi del piacere vennero infatti chiusi alla mezzanotte del 20 settembre 1958) per dar tempo a tenutari e prostitute, scesi rispettivamente in dieci anni a quota 560 e 2700, di riciclarsi in nuove attività.
Nonostante si trattasse di numeri esigui e fosse quindi un piccolo popolo quello che viveva sulla prostituzione legale, il giro d'affari era notevole.

I prezzi stracciati delle prestazioni, che andavano da un minimo di 200 lire per 5 minuti in una “casa di terza categoria” alle 4.000 lire per un'ora in una "casa di lusso”, rispettivamente pari in moneta attuale a 2,4 e 48 euro, moltiplicati per un numero di clienti giornalieri per ragazza che oscillava dai 30 ai 50, producevano un fiume di denaro che finiva non solo in mani private, ma anche allo Stato, che incamerava una percentuale sul ricavato (per un totale di 100 milioni di lire di allora, pari a 1,1 milioni di euro attuali) in cambio di alcuni servizi, fra cui il controllo sanitario delle "lavoratrici".
Lo Stato italiano aveva regolamentato la “pratica” sin da tempi antichi: aveva fissato in maniera dettagliata i prezzi degli incontri, a seconda della prestazione e della categoria dei bordelli, distinti in 3 classi, e si curava persino di adeguarli al tasso d’inflazione; ciò aveva prodotto nella storia politica italiana anche episodi curiosi: ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un “semplice trattenimento” in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali, mentre Urbano Rattazzi, anni prima, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale che un “colloquio semplice” doveva durare venti minuti.

Tornando a tempi più moderni, l’approvazione della legge suscitò due opposte tendenze: per molti fu una conquista di civiltà, specie per i movimenti femminili che lo considerarono un importante passo per affermare la dignità della donna, per altri fu solo un'ipocrisia poiché la prostituzione uscì dalla case chiuse ma non sparì affatto: si riversò sulle strade e in pensioncine compiacenti, sfuggendo al controllo statale per finire in mano alla criminalità organizzata.
Questo scontro ideologico aveva già raggiunto anche i banchi delle librerie poichè la Merlin, insieme alla giornalista Carla Voltolina, moglie del deputato socialista e futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, aveva pubblicato nel 1955 un libro intitolato "Lettere dalle case chiuse", nel quale, attraverso la prosa ingenua e spesso sgrammaticata delle lettere indirizzate alla stessa senatrice dalle sfortunate vittime, emergeva in tutto il suo squallore la realtà dei bordelli nazionali.
Sul fronte opposto, tra gli altri, si batté pervicacemente contro quella che veniva già allora chiamata (e lo sarebbe stata anche in seguito) Legge Merlin il giornalista Indro Montanelli, che nel 1956 diede alle stampe un polemico pamphlet intitolato "Addio Wanda!", nel quale descriveva metaforicamente la legge come un "un colpo di piccone" capace di "far crollare l'intero edificio" su cui si basava la società italiana.

Di sicuro il dibattito è ancora aperto e attuale, considerando che negli ultimi anni vi sono stati numerosi tentativi di modificare la norma e alcuni disegni di legge sono tuttora depositati in Senato, ma l’aspetto più interessante è che abbia superato i confini politici e si sia calato anche nella società civile e nell’arte: nella letteratura, nella cinematografia e nella musica, dove il mondo della prostituzione è stato sublimato dai versi di uno straordinario poeta, Fabrizio De André, capace di descrivere “La Città Vecchia” e “Via del Campo”, di raccontarci la storia di “Bocca di Rosa” e di farsi ispirare dall’omicidio di una prostituta per comporre “La Canzone di Marinella”.



Victor Daiani

(29-02-2008)




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Pubblicato in S.Mariano - Perugia - Italia - Ultimo aggiornamento: 29-02-2008 alle :